In vero, seppure io sappia chi sono stato chi sono e chi saro’, il tempo unico senza morte che attraverso rende grottesca l’idea stessa della trasformazione. E dunque mi domando cosa voglia dire che un tempo fui. Qualsiasi cosa fui.

Io indossai. Ecco, indossai. Abiti maschere parentele. Cariche pubbliche e cappelli da neve. Se amai non so dirlo, poiche’ dell’amore quel che si dice e’ che finisce o sia infinito. Ebbene mi strussi per amori defunti, in passato. Amori che durarono il per sempre degli umani. Non finirono. Mi vennero solo a noia. La noia divenne tedio, il tedio languore. E poi svanirono, in bocca ai giorni identici, tutti i tratti fermi nei ricordi.

E cosi’ chi puo’ dire cosa fui se fui e se amai? Posso amare solo cio’ che non esiste, cio’ che ancora deve nascere. Perche’ solo li’ ripongo la speranza che un alito nuovo mi avvolga il mento e mi rinfreschi il naso. Amo, no, anelo cio’ che non e’. E mi nutro dei vostri vizi. In particolare, del vizio di aver paura di non essere piu’. Del vizio inconsapevole che vi fa marcire: Voi temete che spezzare il tempo possa farvi smettere di gioire. Quando invece io so, pur ignorando chi fui chi sono e chi saro’, come tutto cio’ che vale lo stare al mondo, sia soggetto al ciclo che inizia dall’alba e si chiude al tramonto.